Recensione a Uta Gerhardt, Genocidio e carisma: analisi sociologica del potere nazional socialista, Apeiron editore, Bologna 2004

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Il libro “Genocidio e carisma: analisi sociologica del potere nazional socialista” di Uta Gerhardt si occupa dell’approccio in ambito sociologico di alcuni aspetti del nazionalsocialismo, termine utilizzato nella propaganda nazista per indicare l'idea di una comunità del popolo tedesco basata sull'unità di razza, storia e volontà politica.

Il libro cerca principalmente di affrontare una domanda cruciale: se e come le diverse correnti di pensiero riconoscono che il genocidio, nel contesto del Nazionalsocialismo, è stata una delle due forme complementari attraverso cui il carisma, come principio di potere, si è manifestato.

 

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, due studiosi, Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, hanno spiegato come la società cambiasse durante il periodo nazista in un libro chiamato “Dialettica dell’illuminismo”.

Horkheimer e Adorno hanno identificato sette modi in cui la società moderna può essere negativa e nelle loro tesi, gli autori contrastano due affermazioni: l’antisemitismo come problema cruciale per l’umanità (sostenuto dai fascisti) e l’ebraismo come una religione tra tante (sostenuto dalla società liberale).

Tuttavia, evidenziano che il liberalismo, essendo un’ideologia, è diverso dal potere totalitario fascista che instaura governi veri e propri.

L’antisemitismo è uno strumento utilizzato per mantenere le masse divise e distratte dalla vera causa della loro alienazione, consentendo così al sistema di persistere senza che venga messo in discussione il suo funzionamento o il suo controllo. L’antisemitismo si presenta dunque come una sorta di “distrazione” o “deviazione” in cui le masse invece di rivolgere la loro rabbia contro i veri responsabili della loro situazione di oppressione, vengono indotte a indirizzare la loro rabbia verso gruppi designati, come gli ebrei.

Questo fenomeno serve a mantenere il sistema di potere esistente intatto, perché le persone si concentrano sui “nemici” scelti piuttosto che sulla vera fonte del loro disagio.

Infine, i due storici affermano che per compiere crimini di massa non è necessario avere sentimenti di odio evidenti verso gruppi specifici come gli ebrei, l’antisemitismo diventa solo una parte del programma di un partito politico e non richiede necessariamente un odio aperto.

Particolarmente inquietante è il fatto che la Shoah, fosse stata pianificata e programmata come parte delle politiche di un partito. Questo fa sì che la distruzione di milioni di persone diventi qualcosa di ordinario, previsto e pianificato, rendendo la tragedia ancora più terribile e sconvolgente.

 

La teoria critica di Horkheimer e Adorno è stata raccolta e sviluppata da altri sociologi, come Bauman che sottolinea il legame tra antisemitismo e liberalismo politico e spiega come la burocrazia abbia facilitato la persecuzione di massa attraverso la separazione tra inclusi ed esclusi.

Il razzismo del Nazionalsocialismo ha giustificato un’ingegneria sociale divisoria, dove una “élite” presunta veniva promossa e gli individui considerati “bestiame di scarto” venivano eliminati.

Questo regime ha dimostrato un’ambivalenza unica: la superiorità razziale e l’Olocausto sono diventati entrambi prodotti della stessa modernità.

 

Negli anni 60 l’analisi sociologica si pose tre domande ben distinte:

·       com’è stato possibile Auschwitz?

·       Com’è stato possibile il periodo 1933/45?

·       Com’è stato possibile l’avvento della dittatura nazista e il trasferimento al nazionalsocialismo dei poteri dello stato?

La spiegazione di Dahrendorf si focalizza su due cose: prima, il fatto che molte persone non si opposero abbastanza alla perdita di libertà durante il periodo nazista. Secondo, che la società era così frammentata che molte persone pensavano che un governo autoritario fosse migliore della democrazia per risolvere i problemi. L'autore interpreta il Nazionalsocialismo come una rivoluzione sociale che ha permesso la modernizzazione della Germania attraverso la distruzione delle strutture sociali tradizionali.

Dahrendorf evidenzia anche l'atteggiamento diffuso di distacco e indifferenza della popolazione tedesca nei confronti delle vittime del regime nazista, attribuendo questa mancanza di solidarietà a una sorta di "carattere tedesco". Questo distacco è stato fondamentale per la perpetrazione dei crimini nazisti, consentendo alla vita quotidiana di continuare apparentemente indisturbata mentre si perpetravano orrori nei campi di concentramento.

Infine, Dahrendorf descrive la struttura della società nazista come divisa in due mondi separati: da un lato gli "ariani" privilegiati e modernizzati, dall'altro i "paria" considerati subumani e soggetti a persecuzione. Questa divisione era mantenuta attraverso l'assenza di collegamenti istituzionali tra i due gruppi e la severa punizione per chiunque osasse aiutare i perseguitati.

Il testo evidenzia come una volta che una persona veniva perseguitata e bandita dalla società nazista, non c'era modo di tornare alla normalità. Gli ariani arrivavano addirittura a escludere coloro che aiutavano gli ebrei, trasformandoli anch'essi in perseguitati.

 

Sofsky, un importante sociologo tedesco, descrive i campi di concentramento come una struttura sociale isolata e basata sul terrore. In particolare esamina quattro aspetti dei campi di concentramento:

1.     Ordine Spaziale e Temporale: Nel campo di concentramento, lo spazio e il tempo assumono una nuova dimensione completamente diversa. Lo spazio è diviso in zone di transito e zone vietate, i cui confini mettono a rischio costante la vita dei prigionieri. Il tempo è distorto, vi è un modello temporale arbitrario che rende ogni individuo indistinguibile dagli altri.

2.     Struttura Gerarchica: I prigionieri sono inseriti in una struttura sociale gerarchica, dove le SS detengono il potere assoluto sulla vita e la morte degli altri. Esiste una divisione netta tra i dominatori e i dominati, con una classe di prigionieri collaboratori (kapò) che agiscono sotto il controllo delle SS, ma che a loro volta possono finire vittime della stessa violenza. Questa struttura impedisce la mobilità sociale e favorisce l'indifferenza verso le sofferenze degli altri prigionieri.

3.     Lavoro come Annientamento: il lavoro non è finalizzato all'autorealizzazione o alla produzione, ma piuttosto a annientare chi lo svolge. I prigionieri vengono sovraccaricati, esposti a pericoli e privati di cibo, con l'obiettivo di indebolirli fino alla morte.

4.     la violenza e la morte: La violenza è perpetrata in modo brutale e spietato, con punizioni terribili inflitte di fronte agli altri prigionieri come esempio di terrore. Le epidemie di malattie contagiose sono un pericolo costante e spesso vengono sfruttate come pretesto per uccisioni di massa o per allestire blocchi per la quarantena. Nonostante ciò, alcuni prigionieri vedono nella malattia e nella quarantena una forma di protezione contro l'oppressione delle SS.

 

La storiografia ha dibattuto un teorema riconducibile alla sociologia del potere di Max Weber, che sostiene che ci fossero elementi positivi nel Nazionalsocialismo, come la visione utopistica di una razza pura e politiche di rinforzo nazionale.

Hans Mommsen, usando la metafora dell'"utopia della soluzione finale", ha spiegato che l'idea di un "mondo libero dagli ebrei" ha guidato l'attuazione dell'Olocausto. In questa frase, lo storico interpreta l'antisemitismo non come una caratteristica intrinseca del regime, ma come una sorta di deviazione dalla struttura di potere policentrica. Questo significa che nel regime nazista ci sarebbe stata una distribuzione del potere tra vari centri decisionali anziché una concentrazione di potere in un'unica figura autoritaria. Tuttavia, a causa della confusione e della mancanza di chiarezza nelle procedure decisionali, alcuni funzionari avrebbero agito in modo sempre più criminale e dunque l’antisemitismo si è manifestato e ha trovato terreno fertile in un contesto di caos decisionale e mancanza di controllo, piuttosto che essere un aspetto intenzionale e pianificato del regime nazista.

Mommsen sottolinea che nell'ideologia nazista si sono innestate nuove ideologie incentrate sulla "soluzione finale", il piano per l'annientamento della popolazione ebraica. L'imperialismo e il genocidio sono stati considerati due aspetti legati, in quanto la conquista dello "spazio vitale" avrebbe richiesto l'eliminazione delle popolazioni considerate inferiori.

 

Hans-Walter Schmuhl, uno storico, individua la "soluzione finale" come parte di un processo di violenza crescente che aveva iniziato con sterilizzazioni forzate, poi con l'uccisione dei malati di mente “nell’azione T4”, e infine con i massacri nei campi di concentramento.

Schmuhl sostiene che il razzismo fosse il motore di questa politica disumana, e che il Nazionalsocialismo avesse come obiettivo principale il genocidio. Tuttavia, esprime dubbi sul legame diretto tra il razzismo e i crimini sempre più atroci commessi.

Si chiede perché gli ebrei non sono stati semplicemente privati dei loro diritti anziché essere perseguitati e sterminati. La risposta di Schmuhl a questa domanda si basa sulla dinamica del potere carismatico di Adolf Hitler. Schmuhl sostiene che Hitler fosse in grado di esercitare un potere straordinario grazie al suo carisma, che gli permetteva di ottenere il pieno controllo sulla popolazione tedesca.

Questo potere carismatico richiedeva la creazione continua di situazioni di emergenza, che giustificassero l'adozione di provvedimenti eccezionali. Queste situazioni di emergenza potevano essere manipolate e create artificialmente per mantenere il popolo sotto il controllo del carismatico dittatore.

Ad esempio, eventi come la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale o la crisi economica internazionale venivano attribuiti alle "forze malvagie" contro le quali Hitler dichiarava di combattere senza quartiere. Questo contesto di emergenza giustificava l'uso di qualsiasi mezzo per sconfiggere il nemico

E inoltre, nel regime nazista, chiunque non seguisse il Führer sarebbe stato esposto al rischio di persecuzione, quindi, molti accettavano il regime anche se non condividevano le sue idee.

Questo fenomeno rendeva difficile per i cittadini opporsi al regime e i tedeschi, influenzati dalla dittatura nazista, smettevano di considerare le loro responsabilità civiche, come ad esempio opporsi alle leggi antiebraiche. Questo significava che i tedeschi non avevano più la capacità di opporsi, poiché erano stati privati delle posizioni di potere che avrebbero potuto sostenere la loro protesta.

 

La dinamica dello sviluppo del potere carismatico portò a una serie di crimini perpetrati da una collettività di popolo che si identificava con il regime, perseguitando e uccidendo coloro che non rientravano nel loro concetto di razza dominante. Il razzismo alimentava una violenza sistematica contro coloro considerati inferiori o diversi, culminando in un'espansione della pratica quotidiana di violenza contro gruppi sempre più ampi.

Con l'inizio della guerra, gli omicidi di massa divennero sempre più frequenti, coinvolgendo anche coloro che non avevano alcuna colpa. La violenza era lo strumento attraverso il quale il Nazionalsocialismo trasformava l'elemento carismatico in pratica quotidiana. Le persone erano costrette a commettere atti violenti per evitare di diventarne vittime, contribuendo così a perpetuare il ciclo di violenza del regime. Questa trasformazione rafforzò l'aspetto disumano del potere carismatico nazista.

L'idea chiave è che il genocidio rappresenti l'altra faccia del potere carismatico distorta dal carisma. Si evidenziano quattro filoni di ricerca attivi che mirano a dimostrare empiricamente la complementarità tra genocidio e carisma.

Il primo filone si basa su indagini storiche sull'annientamento dell'ebraismo europeo, dimostrando che le persecuzioni iniziarono nel 1933, si intensificarono negli anni successivi e culminarono con il massacro di milioni di persone a partire dal 1941. Questo studio suddivide il processo di sterminio in due fasi distintive: la definizione, l'espropriazione e il concentramento nella prima fase, e l'azione delle unità di sterminio, le deportazioni e le stragi nei centri di annientamento nella seconda fase.

Il secondo filone mostra come l'inasprimento della violenza, durante la creazione di una collettività di popolo "pura", colpì non solo gli ebrei, ma anche altre categorie di persone considerate "imputabili", come i portatori di handicap, i malati e i senza fissa dimora. Ad esempio, gli alcolizzati cronici potevano essere internati nei campi di concentramento per "rieducazione". Questa persecuzione mirava a "proteggere" la collettività di popolo dagli individui considerati "inabili" sotto il profilo razziale e sociale.

Nel terzo filone le indagini di Christopher Browning hanno evidenziato un aspetto fondamentale nel comprendere come sia stato possibile l'Olocausto: gli uomini responsabili dell'assassinio di centinaia di migliaia di persone in Polonia e in Russia, erano individui "comuni". Questi uomini, arruolati come leva militare, non erano principalmente membri delle SS o del partito nazista, ma molti di loro eseguirono gli ordini di uccidere in modo meccanico e zelante.

Browning, basandosi sui verbali d'interrogatorio e sulle testimonianze presentate in tribunale, riferisce che molti di questi "uomini comuni" si abituarono a considerare l'omicidio come un lavoro quotidiano e si abituarono progressivamente a compiere atti di violenza estrema senza esitazione o rimorso dimostrando una perdita progressiva della loro umanità e sensibilità morale.

Solo una piccola minoranza di loro rifiutò attivamente di partecipare agli omicidi, dimostrando una reazione emotiva e umana. Questi individui furono allontanati dal battaglione.

Il quarto filone prende in considerazione due contesti:

Il primo riguarda la diffusione e la consapevolezza della persecuzione in Germania. Durante la guerra, i campi di concentramento erano visibili ovunque, con milioni di persone deportate e sfruttate come lavoratori schiavi. Il secondo riguarda la diffusione della violenza contro chiunque fosse considerato un dissidente o un disertore. Anche durante gli ultimi anni della guerra, quando la Germania aveva già perso, la popolazione tedesca non riusciva ad opporsi alla violenza dilagante. Anche i prigionieri dei campi di concentramento durante le marce della morte non furono salvati, dimostrando il persistere della mentalità nazionalsocialista fino alla fine.

Anastasia Trabalza – 5D