Racconti… ad arte!

 Il nostro patrimonio artistico è morto? E’ una materia inerte e lontana? Se anche solo una volta, in un museo, vi siete sorpresi a rimanere incantati davanti ad un’opera che vi ha rapito, sapete che l’arte ha una sua voce. Basta tendere l’orecchio, aprirsi all’ascolto e perdersi nella magia. Una magia che Maria Cristina Bocchini, una nostra studentessa della classe 4D del Liceo Scientifico, conosce bene e racconta offrendoci vivaci finestre che ci fanno affacciare nel bel mezzo delle storie di due opere iconiche, la Nike di Samotracia e la Venere di Urbino di Tiziano, reinterpretate secondo un punto di vista inedito e creativo. Tendiamo, allora, l’orecchio, mettiamoci in ascolto e lasciamo fluire la magia…

 

La vera storia della Nike di Samotracia

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- Niche, non correre, non riesco a starti dietro! 
- Muoviti
Pythocrĭtus, altrimenti ci perderemo l’arrivo delle navi al porto!

I due ragazzi arrivarono al porto che il sole stava tramontando, appena in tempo per vedere le navi che comparivano all’orizzonte, di ritorno da una rotta commerciale.
- Un giorno io salirò su una di quelle navi, vedrai, e viaggerò per tutto il mondo. - disse con voce sognante Niche.
Pythocrĭtus lo sapeva bene, aveva già sentito sua sorella esprimere questo desiderio un centinaio di volte

- Lo so, e vedrai che ci riuscirai di sicuro. Adesso, però, dobbiamo tornare a casa: si sta facendo buio e i nostri genitori si preoccuperanno se non ci vedranno tornare. Domani torneremo qua e potrai guardare il mare tutto il tempo che vuoi

 - E’ una promessa?

- Certo che lo è. Ora andiamo.

I due ragazzi presero a correre, con il chitone di lei che si muoveva al vento e i capelli che ondeggiavano liberi. Quella fu l'ultima volta che il fratello la vide così felice; al porto non tornarono più.
A casa li aspettava il padre. Appena rientrarono, li ammonì con fare severo:

- Dove siete stati? Non dovete girare a quest’ora, per di più senza nemmeno un servo con voi.

- Scusaci padre, eravamo giù al porto.

- Quante volte ti ho detto di non tornarci più, Niche: ormai sei una donna, devi stare in casa a occuparti delle faccende domestiche, non a giocare chissà dove! Ne ho già parlato con tua madre: sei in età da marito. Da tempo cercavo un giusto pretendente e oggi l’ho trovato, finalmente: andrai in sposa al figlio di Anthimos, Photios.

- Ma padre! – protestò Niche.

- Niente storie! Da domani stesso comincerai a lavorare con tua madre per apprendere tutto quello che c’è da sapere e tra un mese raggiungerai il tuo sposo.


Per Pythocrĭtus fu un colpo al cuore: la sorella era la sua compagna di giochi da quando erano piccoli, avevano fatto sempre tutto insieme e adesso se la vedeva portare via. Nei giorni successivi la sorella perse il sorriso: era severa, criticava il fratello ogni volta che le proponeva di fare qualcosa insieme, gli rinfacciava che non aveva più tempo per lui e per il gioco, visto che ormai era adulta, non come lui.

Dopo un mese, Niche andò via di casa. L’ultima immagine che lasciò all’amato compagno di giochi fu quella di una sconosciuta che abbandonava freddamente la sua famiglia, come se si fosse dimenticata di tutto quello che era stato.
Questo distacco lasciò un vuoto profondo nel cuore del giovane Pythocrĭtus e anche lui cambiò, abbandonando definitivamente la sua bella gioventù. Anche se gli anni passarono, egli non dimenticò mai quell’ultima sera al porto, dove lui e Niche avevano corso liberi, senza il peso della responsabilità di crescere e nella dolce illusione che avrebbero potuto restare per sempre bambini.
Qualche tempo dopo, quando Pythocrĭtus fu chiamato a realizzare un’opera d’arte che celebrasse il successo della flotta di Rodi e cristallizzasse l’idea stessa di vittoria, istintivamente scelse di rappresentarla come la vittoria più bella, astratta e imperfetta  che avesse mai sognato in vita sua: quella di sua sorella! La immortalò in quell’ultimo momento di libertà, in quella corsa che sembrava fatta per spiccare il volo, frenata bruscamente dall’arrivo dell’età adulta. E creò la statua come su una prua di una nave, per permettere alla giovane di vivere quel sogno che le era stato tanto crudelmente portato via.

Il nastro della Venere di Tiziano

 

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- Giuditta, guarda che io non lo trovo. Se la signora se ne accorge, siamo fregate!

 - E tu cerca meglio, Maria! Tanto quella ora è presa dal dipinto, non bada a noi.

 - Allora: intanto questi toni con me non li usi, sia chiaro.

 - Va bene, va bene. Scusa. Però continua a cercare!

 - Lo sto facendo, ma lo sai che già sono cecata di mio, figurati con questa luce… Aspetta: forse ce l’ho!

- Oh, Signore, ti prego, fa’ che sia lui.

- No, niente. Scherzavo: è solo una vecchia calza. Ma lo sai che non è niente male? Quasi, quasi questa me la prendo, tanto non se ne accorgerà mai!

 - Secondo me, non ti starebbe bene. Questo colore ti sbatte…

- Dici?

- Sì, forse dovrei provarla io... Oh basta, concentriamoci!

- Che stavamo facendo?

- Il nastro!

- Ah sì sì giusto…

  • “Chissà se quelle due si accorgeranno che il nastro ormai l’ho bello e che mangiato e che possono anche continuare a cercare, tanto non lo troveranno mai… Vabbè, torno al mio pisolino. Se la vedranno loro con la padrona..”

Maria Cristina Bocchini, 4D

Prof.ssa Katia Brigiari

Fonti delle immagini:

Fra00, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Nike_of_Samothrake_Louvre_Ma2369_n4.png

 

 

Tiziano Vecellio http://www.thehistoryblog.com/wp-content/uploads/2013/02/Venus-of-Urbino.jpg  Pubblico dominio