Intervista alla giornalista Marina Rosati

ASSISI – Conoscere, confrontarsi, avere la fortuna di fare una professione che è soprattutto servizio, raccontando con verità, attenzione ai particolari e alle persone, storie, situazioni e momenti della realtà locale e nazionale. Dopo oltre 20 anni di carriera, molti dei quali passati come caposervizio al Corriere dell’Umbria e al Corriere di Firenze e ora alla direzione dell’Ufficio comunicazioni della diocesi di Assisi – Nocera Umbra – Gualdo Tadino e collaboratrice del quotidiano nazionale Avvenire, Marina Rosati, giornalista professionista di Assisi, si racconta. E mette in luce i punti di forza e le difficoltà di un mestiere che, nell’epoca dei social e della crisi dell’editoria, è una strada tutta in salita per quanto aspirano ad entrare nel cosiddetto ‘quarto potere’. 

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Quando ha iniziato a fare questa professione e cosa l’ha spinta?

“Da quando ero una ragazzina desideravo fare questo mestiere; mi piaceva l’idea di conoscere, incontrare persone e situazioni diverse dalle mie e poterle raccontare. E così ho iniziato a collaborare con il giornale della scuola, poi con qualche mensile locale della città di Assisi e infine quando stavo studiando Scienze politiche mi è stata offerta la possibilità di diventare corrispondente da Assisi del Corriere dell’Umbria, il primo quotidiano della nostra regione. Ero entusiasta e orgogliosa di questa opportunità, ma allo stesso tempo preoccupata per un ruolo che non avevo mai ricoperto. Poi, però, mi sono resa conta che il mestiere si impara facendolo”.

In che senso, che non bisogna studiare o seguire dei corsi?

“La preparazione, lo studio sono il primo passo perché il giornalista deve avere una cultura generale di alto livello. Pur essendoci ormai diverse Scuole di giornalismo per fare questa professione si possono seguire strade differenti: ci sono giornalisti laureati in legge, in lettere, in Scienze politiche o, addirittura, un tempo non ci si iscriveva neanche all’Università e si iniziava subito a lavorare. Per iniziare non c’è scuola migliore di una redazione vera e propria, meglio quella di una testata locale, dove tutti i giorni ti trovi a raccontare fatti di cronaca nera, giudiziaria, amministrativa, di cronaca rosa o di sport per imparare come redigere un articolo. Certo, bisogna saper scrivere ma poi è quella capacità di cogliere la notizia e saperla raccontare in maniera corretta, appassionata e coinvolgente, tenendo il lettore attaccato all’articolo o incantato dall’esposizione orale, che fanno la differenza”.

Quali sono le caratteristiche per essere un buon giornalista?

“Oltre ovviamente, come dicevo sopra, a prepararsi scolasticamente e culturalmente, bisogna essere curiosi, non vergognarsi di chiedere, anche facendo domande che possono essere banali. E’ necessario avere voglia di scoprire e raccontare la verità, senza mai dimenticare che tra le nostre righe o le nostre parole c’è la vita, la storia e il futuro delle persone. Poi si impara a costruirsi le fonti che sono la ninfa vitale dell’azione e dell’attività del giornalista. La differenza oggi tra un giornalista e qualsiasi altra persona che, attraverso i social si erge a grande comunicatore, è la verifica della notizia che il giornalista fa sempre”.  

Quale è stato il momento più bello della tua carriera?

“Ce ne sono stati moltissimi. Quando ho avuto la possibilità di incontrare e intervistare il presidente della Repubblica, Carlo Azelio Ciampi, o seguire le diverse visite di papa Francesco in Assisi o del capo dello Stato, Sergio Mattarella. Questi sono momenti che restano nel cuore per l’importanza del personaggio o del contesto ma, ricordo ancora con profonda soddisfazione quando, da poco corrispondente di Assisi, mi finsi turista insieme a mio padre, molto più conosciuto di me in città e feci un servizio sul ‘doppio prezzo’ praticato dai commercianti nei confronti di residenti e turisti che mise in luce un problema effettivo, ancora attuale, scatenando una campagna stampa, durata un mese e finita anche su testate nazionali. Allora capii quale era il ruolo del giornalista, quale potere, capacità e influenza poteva avere sull’opinione pubblica”.

Spesso, soprattutto di fronte a fenomeni e problematiche di interesse generale, si dice che è ‘colpa dei giornalisti’, manipolatori della verità…è così secondo lei?

“I giornalisti dicono la verità. Non è corretto dire che scrivono o raccontano falsità. Vero è che, a uno stesso fatto di cronaca può essere dato un accento diverso a seconda di cosa il giornalista, il direttore o addirittura l’editore, vogliano far emergere.  Ed è certamente vero che i mass media possono influenzare l’opinione pubblica, ecco perché si dice che siamo il quarto potere. A me piace però la definizione che si dava dei giornalisti come ‘cani da guardia della democrazia’”.

Che significa?

“Vuol dire che il giornalista ha l’onore e l’onore di essere un controllore di ciò che accade, di come amministrano i politici, di come garantisco certi servizi pubblici, di come una comunità possa sentirsi tutelata dalla presenza di una stampa libera, critica e democratica. Seguendo tale ragionamento questo mestiere è un servizio alla collettività ed è ciò che mi piace di più”. 

Consiglierebbe a un giovane di fare questo mestiere oggi?

“Oggi è molto più difficile di quanto ho iniziato io, soprattutto per la crisi dell’editoria che, come dicevo sopra, l’avvento dei social ha provocato. Tuttavia, è una professione entusiasmante, spesso anche divertente, coinvolgente e che ti offre tante possibilità sia se lo si fa ad alti livelli in testate nazionali, sia che lo si faccia in un contesto locale come quello umbro. Quindi, se uno è capace, sa scrivere ed ha voglia di mettersi al servizio della comunità per tutte le cose che ho detto sopra, faccia pure il giornalista perché non resterà deluso”. 

Andrea Bruno 1C (Progetto Studenti Redattori)