Fame di libertà - Intervista a una donna di Teheran



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Il 3 maggio si è celebrata la Giornata mondiale della libertà di stampa e parola.

È stata Istituita nel 1993 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con lo scopo di sottolineare la rilevanza della libertà di stampa e ricordare ai governi il compito di sostenere la libera espressione. 

In molti paesi, purtroppo, il 3 maggio è un giorno qualunque: tra questi, c'è la Repubblica Islamica dell’Iran. Qui il 3 maggio non c’è alcuna pubblica ricorrenza: la giornata è celebrata, però, nei cuori delle persone, in ricordo di tutti coloro che hanno perso la loro vita o la libertà in nome dell’informazione.

 

Questa intervista ha lo scopo di informare sulla condizione di totale assenza di libertà di espressione in cui è costretto a vivere il popolo iraniano.  L’intervistata è una donna di Teheran, trasferitasi in Italia all’inizio del 2000 per fuggire l’instabilità del paese e inseguire il sogno di una carriera da odontoiatra all’estero: la sua testimonianza, come la mia, dovranno rimanere anonime, per il pericolo di incorrere in sanzioni. 

 

«Nonostante la nostra grande fortuna, spesso non diamo il giusto peso all'immenso dono che possediamo: possiamo parlare liberamente, condividere le nostre opinioni e scrivere di esse. Anche in Iran fino a quarant’anni fa era così; poi, da un giorno all’altro, la situazione si è ribaltata completamente», racconta la donna.  «Quando scoppiò la rivoluzione ero ancora una bambina, non capivo bene la situazione. Mi ricordo soltanto che avevamo molta paura: in quel periodo avevano cominciato a perseguitare coloro che avevano lavorato a stretto contatto con il Re e, tra queste persone, c’era anche mio papà, che era un militare delle Forze Speciali dello Shah. Bruciammo fotografie, lettere e documenti. Giocavamo a “nascondino” e per mesi la mia casa fu quella di amici e conoscenti».

 

La rivoluzione di cui la nostra fonte parla è quella del primo Febbraio 1979, a Teheran. Dopo anni di esilio all’estero, lo sciita Ruhollah Khomeini arrivò all’aeroporto di Teheran, gettando un’ombra oscura sul paese. In breve tempo, lo stato diventò ufficialmente una Repubblica Islamica, i diritti umani vennero gravemente violati e tutto ciò che era libertà si trasformò in oppressione. Il popolo divenne marionetta di un’esibizione. «Chi è il marionettista? Lo stato!» dice. 

 

«La vita in Iran prima della rivoluzione era molto piacevole. La gente era libera di come vestirsi come voleva, di organizzare la propria vita, di fare ed essere» continua la donna. A distanza di quarant’anni, la Giustizia e diritti umani in Iran, secondo gli studi del Democracy Index, occupano la 154 esima posizione su 167 paesi analizzati.  «La scuola dovrebbe essere dappertutto un posto sereno per gli alunni: per me, invece, era il posto più pericoloso e spaventoso di tutti. Dovevo stare attenta a ciò che dicevo, a come mi vestivo, al mio atteggiamento. Sin da piccoli, il Governo tentava di inculcarci la sua propaganda malata e controllava la nostra vita con il terrore». 

 

In teoria, gli Articoli 23 e 24 della Costituzione iraniana prevedono la libertà di stampa, il divieto di indagare sulle opinioni dei cittadini o di censurarle. Eppure sono numerosi i casi in cui queste leggi si sono dimostrate delle menzogne e le numerose proteste che ne sono derivate sono la prova. 

 

«A settembre 2022 è cominciata l’ennesima protesta e questa volta i cori della popolazione avevano scosso qualcosa nel paese, come un terremoto. Dopo la morte di Mahsa Amini, la ragazza di origine curda uccisa dalla Polizia Morale Iraniana per aver portato in maniera inadeguata l’hijab mandatoriale, si è diffuso lo slogan “Donna, Vita, Libertà” e ha fatto molto rumore», dichiara la donna iraniana, «Lo stato era evidentemente preoccupato. Grazie ai media, la voce si era sparsa un po’. Purtroppo, ci sono state molte ripercussioni: stragi, morti, condanne  capitali, arresti. Il governo era fuori di sé, ogni giorno affioravano orribili notizie». 

 

Con l’inizio delle proteste “Donna, Vita, Libertà”, secondo la Federazione Internazionale dei Giornalisti, sono stati arrestati più di 100 giornalisti iraniani. 

 

La donna porta l’esempio di grandi voci oppresse: la voce di Shervin Hajipur, che per l’anelito alla libertà espresso nella sua canzone Baraye, è stato condannato a quasi quattro anni di carcere; le voci di Shirin Ebadi e Narges Mohammadi, attiviste iraniane e vincitrici del Premio Nobel per la pace

«Gli iraniani sono guerrieri che combattono tutti i giorni per ottenere qualcosa di più di un pezzo di terra, la loro libertà e i loro diritti», afferma con orgoglio la donna. «La libertà di stampa è solo una delle tante libertà sottratte a questo popolo. Ma spero fermamente che il coro delle voci oppresse posso un giorno sconfiggere il nemico e far rinascere l’Iran».

 

Studente redattrice anonima del primo anno